Le prospettive dell’e-health e il ruolo delle Medical Apps
Il settore delle app per mobile è in espansione e un contributo notevole viene dall’ambito sanitario (m-health). Le persone che usano il proprio smartphone per avere dei benefici sulla salute o migliorare il loro benessere hanno centinaia di migliaia di soluzioni tra cui scegliere, ma sono le indicazioni sulle precauzioni da avere nel loro utilizzo a essere scarse o assenti. Non a caso, un articolo apparso questo mese sul British Medical Journal s’interroga su un possibile “effetto collaterale” della tecnologia: portare anche chi non ha alcun problema medico ad avere ansie e dubbi in merito alle proprie condizioni fisiche.
Detto questo, quali sono gli scenari che ci aspettano?
Nonostante l’utilizzo delle app in generale faccia parte della nostra quotidianità, il contesto cui dobbiamo rapportarci quando ne usiamo una in ambito salute è ben più complesso: lo scopo dell’utilizzo diventa il corpo umano.
Partendo da questo punto di vista, qualunque dispositivo che abbia un’applicazione nell’healthcare deve tenere conto di quanto sia fondamentale far acquisire all’utente una profonda coscienza dei confini entro cui gli strumenti a disposizione si devono usare.
In poche parole, è fisiologico avere difficoltà nel “fare i conti” con il nuovo, ma non deve esser visto come qualcosa di estraneo. In ambito salute, viene sicuramente in aiuto la riflessione fatta da Antonio Savarese in un suo articolo in cui dice che: la salute di domani non potrà prescindere dal digitale e in questa sua nuova dimensione integrata realizzeremo come il
<<sistema dell’e-Health iniziare con il benessere, che si riferisce alle attività che ognuno di noi dovrebbe fare per mantenere la forma fisica generale e la salute, seguita dalla prevenzione delle malattie specifiche, per poi evolversi dove necessario in sistemi per la diagnosi e cura delle malattie, e infine, per il monitoraggio e la gestione di tali patologie dopo il regime di trattamento acuto>>.
Il percorso di progressiva sinergia con la tecnologia prevede che a ciascuna tappa evolutiva della salute corrisponda una serie di strumenti digitali con cui interagire e su cui fare affidamento.
Ora come ora, però, il pensiero di dover utilizzare un’app al presentarsi di un problema di salute, può apparire più una complicazione che un vantaggio.
Comprendere meglio che le proprie esigenze possono essere accolte e risolte grazie ad un uso consapevole dei supporti tecnologici, contribuirà a superare quest’ostacolo.
Per esempio, la grande attenzione per tutto ciò che è telemedicina ha ripercussioni positive sull’innovazione e la ricerca di nuove soluzioni. Poter valutare alcuni parametri (ematici e non), piuttosto che misurare la pressione arteriosa e riferire il tutto al medico in tempo reale, sono scenari plausibili oggi e potenzialmente normali domani.
Davanti a una simile prospettiva, però, emergono due interrogativi tanto pratici quanto importanti:
- di fronte a potenziali effetti diretti o indiretti sulla salute, quali garanzie ci sono sulla sicurezza dei dispositivi?
- oggi sembrano solo degli accessori, è possibile che diventino utilizzabili su larga scala dai medici?
Per ora queste due domande sono destinate a rimanere senza risposta poiché né medici né le istituzioni hanno ancora mostrato l’intenzione di affrontare in modo serio e strutturale questi aspetti.
Nella pratica, vedono l’app medica come un qualcosa di nuovo nei cui confronti non sanno come relazionarsi, e optano per un atteggiamento prudente che ha come risultato una regolamentazione discrezionale dei dispositivi basata su un rischio per l’utente che è solo frutto di una stima (e non di un’analisi rigorosa).
Per capire meglio, facciamo un passo indietro e vediamo qual è la definizione di app medica sancita dall’FDA nel 2013:
- un accessorio con capacità di funzionare in modo indipendente rispetto a un dispositivo medico ma di essere a lui complementare nel raggiungimento di una prestazione;
- un componente interno di una piattaforma mobile in grado di renderla un dispositivo medico.
Questa equiparazione a una categoria di strumenti già in uso in ambito clinico, serve a stabilire un legame causa-effetto strettamente legato alle modalità di utilizzo delle app mediche. Sono definite tali, infatti, quando:
- agiscono nei confronti di una patologia o altri disturbi proponendo una diagnosi, una cura oppure un trattamento preventivo;
- alterano con le operazioni legate al loro funzionamento la struttura o una funzione fisiologica del corpo
Se prima, nel caso della definizione di app, i margini di equivoco erano pressoché inesistenti, in questo caso la seconda parte è molto generica diventando, automaticamente, il presupposto per la proliferare di applicativi poco efficaci e della cui sicurezza non vi è certezza.
In questo senso, un aggiornamento degli indirizzi regolatori che l’FDA ha rilasciato in Febbraio vorrebbe essere un passo in avanti rispetto alla versione del 2013 destinata solo agli sviluppatori. L’aggiunta dei criteri d’azione volti a dare maggiori garanzie agli utenti va nella giusta direzione, ma molta strada deve essere ancora percorsa.
Le linee guida 2015 si occupano solo del rischio complessivo che può derivare da un uso improprio delle app aggirando il potenziale problema pratico di dover sottoporre qualsiasi applicativo a verifiche pre-rilascio. A questo scopo è stato compiuto un passo verso una maggiore chiarezza individuando due categorie di app mediche, hard e soft:
- hard = comprendono app e accessori che sono, per esempio, in grado di trasformare lo smartphone in una centralina di controllo del misuratore di pressione o gestire la pompa per l’infusione dell’insulina, piuttosto che di rendere il telefono un rilevatore diretto del battito cardiaco o della glicemia, sino ad arrivare ad alcune idee di pura avanguardia diagnostica descritte nel seguente articolo tratto dall’Economist o in un altro apparso sul blog di Che Futuro!
- soft = tutta la serie di applicativi che aiutano le persone a gestire e organizzare autonomamente le informazioni sulla salute: si va dal monitoraggio (della dieta, dell’esercizio, del sonno e dello stato d’animo) sino al calendario della gravidanza, dall’archivio (degli esami clinici, dei farmaci in uso) sino ad arrivare alle forme di comunicazione diretta con il medico (accesso simultaneo alla cartella clinica elettronica per gli aggiornamenti).
Le prime conservano l’obbligo di verifica per i rischi oggettivi che il loro funzionamento può produrre. Le seconde, invece, essendo molto eterogenee sono sottoposte a un monitoraggio più flessibile che prevede un divieto unilaterale di fornire consigli per cure o trattamenti specifici, a cui si possono aggiungere altre norme caso per caso.
A questo punto, il quadro che si delinea è quello di un mercato in cui sono presenti una miriade di app in ambito salute e benessere che mancano di una base scientifica e di prove a dimostrazione della loro reale capacità di migliorare le condizioni fisiche di chi le usa.
La mancanza di regole e riferimenti che rendano il processo di progettazione di un applicativo e la sua sperimentazione prima del rilascio in commercio (operazioni di prassi per un farmaco), portano alla realizzazione di un prodotto finale che non sempre garantisce degli elevati standard nella qualità dei contenuti e affidabilità nelle prestazioni.
Per capire quelle che sono le ipotesi più verosimili per il futuro degli applicativi destinati all’healthcare, si può partire da ciò che è presente oggi negli store per iOS o Android. Nella maggioranza dei casi si occupano del monitoraggio delle malattie, specialmente di quelle croniche, seguito dal supporto nella formulazione di una diagnosi.
A fronte di questo panorama, il passo successivo riguarda principalmente i professionisti sanitari che dovrebbero seguire l’esempio di realtà americane come iMedicalApps. Si tratta di includere nella propria attività giornaliera l’utilizzo degli strumenti tecnologici (sia già presenti sia in progettazione) per validarli in termini di affidabilità e i prestazioni promesse.
L’esempio portato è realmente utile perché si tratta di un gruppo composto solo da specializzandi, medici, tecnici e formatori quotidianamente impegnati sul campo e che fa dell’aggiornamento continuo una priorità. Ciò ha reso possibile una costante attività di ricerca, revisione e analisi di tutto ciò che il mobile applicato all’ambito sanitario esprime.
La loro capacità di far tesoro di tutte le esperienze pratiche (e anche restituirle al pubblico di addetti ai lavori attraverso il sito web), ha permesso il consolidamento di alcune procedure di sperimentazione e una rigorosa raccolta di dati durata sei anni.
Il culmine di tutto questo lavoro è stato la creazione di uno strumento unico come iPrescribeApps una piattaforma che mette i medici nelle condizioni di poter prescrivere l’utilizzo di App e dispositivi mobile ai loro pazienti partendo da un mix tra pareri di esperti opinion leader e un’ampia selezione di evidenze cliniche.
Quanto appena illustrato non sembra fantascienza, ma è solo il frutto d’impegno e desiderio di arrivare a raggiungere un obiettivo concreto. Perché non provarci anche in Europa e, soprattutto, in Italia dove la competenza in questo settore riceve riconoscimenti dopo essere andata all’estero per mancanza di piani d’investimento strutturali?
Vanni Vischi
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